Articoli, Convegni, Presentazioni, Progetti, Iniziative ...

 

 

DSM TRA DIAGNOSI E CONNESSIONE

 

 

Forse per i non addetti ai lavori, questa sigla non indicherà nulla e invece rappresenta il famoso ed internazionale Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, passato attraverso varie edizioni fino all'ultima del 2013 che ha visto la pubblicazione del DSM-5.

Questo strumento, seppur permettendo un linguaggio universale e quindi con un alto potenziale sistemico, si limita a descrivere segni e sintomi di un disturbo psichico, tralasciando la descrizione della persona. La soggettività viene sacrificata in nome della diagnosi, che seppur necessaria talvolta, non può e non dovrebbe essere esaustiva. Seguendo il DSM, la diagnosi avviene secondo una logica categoriale in cui viene valutata la presenza o meno di criteri comportamentali caratteristici di un tipico disturbo, è quindi una diagnosi di tipo tecnico che usa un linguaggio specialistico e che presuppone una conoscenza di base della psicopatologia. Se si tiene conto del modello bio-psico-sociale, la sfera cognitiva influisce su quella vegetativa sintomatica senza poter escludere l’area sociale, ovvero il contesto in cui il soggetto è inserito. Quanto questo concetto, fortemente sistemico, sia presente nel DSM dipende forse dall’uso che se ne fa. I terapeuti sistemici, pur non dimenticando la diagnosi nosografica, tendono verso una diagnosi di tipo relazionale che è forse più facilmente comunicabile e più utile al paziente che non si vede così etichettato in un codice o una patologia, ma si vede piuttosto riconosciuto come soggetto. Senza entrare nella polemica tra sostenitori e detrattori del DSM, che invece ne denunciano la mancata scientificità in nome di interessi politici ed economici; concludo con una riflessione sul potere delle parole, sull’uso diverso che se ne può fare e sugli esiti che ne derivano. Immaginando di poter usare un linguaggio opposto alla diagnosi psichiatrica che sembra categorizzare senza nessuna umanità, il dipinto di Munch mi appare come una valida proposta di linguaggio alternativo, dove il potere simbolico dell’immagine e delle parole che la descrivono, possono fare da cornice ad un “sentire umano” nel quale l’osservatore può riconoscersi in quanto soggetto in relazione con sé, con gli altri e con ciò che lo circonda.

 

 

 

 

 

 

 

Una sera passeggiavo per un sentiero,                                                                         da una parte stava la città e sotto di me il fiordo.
L'URLO (MUNCH 1893)

 

 

 Una sera passeggiavo per un sentiero, 

         da una parte stava la città e sotto di me il fiordo.

                                                                                                                Ero stanco e malato.

     Mi fermai e guardai al di là del fiordo

                                                                                                     - il sole stava tramontando -

        le nuvole erano tinte di un rosso sangue.

    Sentii un urlo attraversare la natura:

                                                                                                        mi sembrò quasi di udirlo.

                                                                                                             Dipinsi questo quadro, 

                                                   dipinsi le nuvole come sangue vero.

                                                   I colori stavano urlando. 

 

 

 

 

REGALI DI NATALE IN PSICOTERAPIA

 

 Ogni anno la tradizione degli amati-odiati doni natalizi segue i suoi rituali. Tradizione antichissima e al di là del consumismo dei nostri tempi, ha da sempre rappresentato un modo universale per esprimere sentimenti di gratitudine e affetto. Ma se lo scambio di doni, nella tradizione comune, ha un significato sia per il donatore che per la persona omaggiata …. Quali significati assume in un contesto terapeutico? E’ eticamente corretto accettarli da parte del terapeuta? Quali doni sono clinicamente più accettabili? e soprattutto quando e se è giusto ricambiare i doni ai pazienti, in una relazione di natura professionale?.

E così accade che nella magia dell’atmosfera natalizia, in cui tutti sembrano diventare più buoni, il terapeuta si possa trovare nell' imbarazzante situazione di dover risolvere il dilemma etico di accettare o meno il dono natalizio del proprio paziente.

Al di là delle teorizzazioni etiche sullo scambio dei doni in terapia, credo che qualunque sia la decisione del terapeuta al riguardo, non possa esimersi dal fare una riflessione “clinica” sul significato del dono da parte del “paziente donatore”, che può variare molto e può essere compresa meglio nel contesto della terapia. Il valore simbolico del dono e il suo “significato terapeutico”, a mio avviso, dicono molto sullo stato della relazione terapeutica.

Forse non sempre è necessario commentare il significato del dono con il paziente, può bastare un semplice ringraziamento, ma ritengo che il reale dono per cui il terapeuta debba fare un “silenzioso ringraziamento”, sia il significato implicito di quel dono come occasione di riflessione clinica sulla relazione e alleanza terapeutica.

Quando ci sono i bambini in terapia, lo scambio dei doni può essere il più delle volte clinicamente più appropriato, per quel fare tipicamente spontaneo dei bambini che fa sembrare tutto più giusto e accettabile. Tuttavia, non credo che la politica “niente regali” possa sempre rivelarsi la strategia vincente, perché non risolverebbe l’impatto negativo del rifiuto del regalo e non solo, su un paziente in psicoterapia. 

Personalmente, sebbene non mi sia trovata spesso in questa situazione, quando è stato possibile ho cercato di evitare che si ponesse la questione, semplificando la vita pratica e soprattutto emotiva mia e del paziente! E’ stato sufficiente uno scambio verbale di auguri, talvolta più caloroso da parte dei miei pazienti, con baci, strette di mano, abbracci e buoni auspici per la mia vita. Ebbene, anche in questo secondo caso, ho sempre cercato di fare delle riflessioni che potessero trovare una cornice di senso nella storia clinica in corso, non certo per ridurre tutto ad uno sterile retro pensiero, ma perché credo fermamente che sia compito dello psicoterapeuta, nel rispetto dei pazienti, non allontanarsi mai dal significato della relazione terapeutica che instaura con coloro che  chiedono il suo aiuto.

 

RELATRICE CON UN INTERVENTO DAL TITOLO:

"APPROCCIO PSICOTERAPEUTICO SISTEMICO RELAZIONALE AL DISTURBO DEL SONNO"